La passione domestica

La passione domestica al supermarket non ce l’hanno. Ovviamente.

di Lilaschon


Caro Marco,

ho cercato la passione domestica.

L'ho domandata al ragazzo del reparto biscotti.

“Ciao, scusa, mi sai dire dove trovare un po’ di passione domestica?”

“Shhh! Ma cosa sei, scema? Mi chiedi” ha abbassato di un tono la voce e mi ha avvicinata tirandomi per un braccio “della passione domestica tra i biscotti del Mulino Bianco? Vuoi farmi licenziare? Chi ti manda?”

“Licenziare? Mi manda Marco. Non è per me, io sono una che va a comprare le sigarette.”

“Senti, sparisci. Io di casini non ne voglio. Io e te non ne abbiamo mai parlato, ok?”

“Ok” gli dico e sparisco.

Tra i pelati non c'era, nemmeno tra i kleenex e i cotton fioc, ho guardato anche accanto alle scatolette per cani, sopra gli shampoo superliscianti, sotto ai detersivi per un bianco che più bianco non si può. Niente.

Sono finita davanti ai surgelati. Ho pensato che magari qualcuno una volta che c'era l'ha surgelata.

Ho chiesto alla ragazza.

“Ciao, hai mica della passione domestica surgelata?”

“No, mai avuta. La trovi fresca prima dei broccoli, subito dopo i cavoli.”

“Grazie, sei un'amica!”

Vabbè, no, sei un'amica non l'ho detto.

Melanzane, zucchine, pomodori, broccoli, eccoli! Un passo indietro, cavoli!

È ‘sta roba qua?

Chiedo alla donna con la fascia a fiori nei capelli e il camice “responsabile frutta e verdura”.

“Buongiorno, cercavo della passione domestica… Ma è questa cosa tutta luccicante?”

Scoppia a piangere.

“No, quella è passione da non consumare. Quella domestica non c'è più.”

“Da non consumare? Cioè, eterna?”

Singhiozza.

“Macchè! Dura all'incirca tre mesi ma va non consumata, possibilmente tra estranei, sennò dura ancora meno… 10, 15 giorni al massimo.”

“Capisco.” Lo dico ma non ho capito niente, solo che sono a disagio, ora s'è messa a tirar su col naso.

“Prova a vedere nello scaffale dei superalcolici.”

Ringrazio e vado tra le bottiglie della vodka e quelle del whisky.

Io non la vedo, ma ti confesso, Marco, che non so neanche cosa sto guardando. Mi sento in hangover. Le luci dei supermercati sono diaboliche e poi c'è questa musica in filodiffusione che rimbalza omogenea contro le cose, ma che non è distinguibile, potrebbe essere tutte le canzoni che conosco. Per fortuna che ogni tanto una voce annuncia l'apertura di una cassa o la promozione dei pannolini, e ritorna la realtà.

Chiedo a un paio di clienti. Un uomo in giacca e cravatta mi risponde “Eh?”, una signora con due bambini strabuzza gli occhi, non risponde e dice ai figli che è ora di andare e che qui non ci torneranno più.

Mi incammino verso l'uscita quando una figura indefinita che mastica chewing-gum mi si para davanti.

“Venga, il direttore la vuole vedere.”

E mi dirige verso una porta rotonda e rossa, che sembra l'ingresso di un tunnel che porta in chissà quale parte del mondo o dell'inferno. La scritta a caratteri cubitali parla chiaro “INGRESSO MOLESTATORI, BORSEGGIATORI E DEPRAVATI IN GENERE”.

“Guardi, ci dev'essere un errore…”

“A me di voi pervertiti non me ne frega niente.” E intanto spinge il maniglione antipanico e mi ci tira dentro.

Un ufficio. Tutta questa scenografia per un ufficio con le sedie di plastica, un boccione dell'acqua e una scrivania grigia.

“Aspetti qui.” E se ne va.

Guardo dentro la borsa, vuoi mai che c'è finito qualcosa? No, niente, pure le caramelle alla liquirizia per la pressione bassa si vede che sono state aperte molto tempo prima.

Mi preparo a dirglielo “Li vede gli angoli di carta consumati dal tempo passato in borsa? Ecco, io non le ho rubate.”

Prendo fuori il telefono. Non ha campo.

Io, per aspettare, aspetto, ma sono sul punto di andarmene.

E proprio su quel punto entra il direttore del supermarket. So che è il direttore perché me l'ha detto quello a cui non interessano i pervertiti.

Suda vistosamente. Con un fazzoletto di cotone color ocra si tampona la fronte e il collo.

“Cosa vuole?”

“Io? Cosa vorrà lei!”

“Parliamoci chiaro, anche perché qui non ci sono telecamere o microfoni come sono nel resto del negozio. È più di mezz'ora che gira chiedendo passione domestica. È in astinenza?”

“È per un mio amico.”

“Dicono tutti così.”

“…”

“Lei capisce che dovrei sporgere denuncia?”

“La passione domestica è illegale?”

Si alza, prende un bicchiere di plastica e lo riempie d'acqua.

“Ne vuole?”

“No.”

Però avrei voluto dire di sì perché quando dal boccione scende l'acqua, le bolle d'aria che vanno verso l'alto fanno un suono blub-blub che mi piace da impazzire.

“Signora, arriviamo al dunque, io gliela posso trovare di contrabbando. Una dose, massimo due, s'intende. La quantità per scampare all'estate.”

“Lei l'ha provata?”

“Prima di provarla, io e mia moglie, alternavamo il mal di testa di lei al mio sonno, finché finì anche la voglia di inventare scuse. E la provammo.”

“Quindi funziona…”

“Quando arriva il silenzio, non funziona più niente.”

“…”

Che gli potevo dire, Marco?

“Comunque” dice lui “ne vuole una dose, sì o no?”

“…”

Ancora, che gli potevo dire, Marco?

Mi apre la porta e mi saluta “Ovviamente mi aspetto da lei una certa riservatezza, capisce? Non vorrei arrivare domani e trovarmi il supermarket pieno di poveri illusi.”

“Ovviamente.”