Quote rosa: conversazione con una femminista

18 gennaio 2020

La conversazione che riporto di seguito è lo scambio che ho avuto con Giulia Siviero, persona che stimo e seguo su Twitter, che parte da questo articolo de Il Post, sul tema delle "quote rosa".

Giulia quale è la tua opione in merito?

Sulle quote o sul pezzo?

Sulle quote

Non bene, l’ho anche scritto qua e là: paternalismo dell’imposizione dall'alto, cooptazione, consapevolezza che non è il sistema che discrimina a porre rimedio alla discriminazione attraverso l’auto-invenzione di un meccanismo vuoto e quantitativo al cui interno, però, rimangono attivi molti meccanismi di dominazione (il cambiamento arriva dal basso non dall'alto, vedi il paradosso nordico: impongo dall'alto con le leggi e poi ho un sacco di casi di violenza: la libertà scritta nelle leggi come te l’hanno data te la possono anche togliere o peggio è una libertà finta, che è scritta là ma nella pratica non vuol dire nulla.); soprattutto: donna purché donna non vuol dire niente. In generale la questione ha a che fare con l’obiettivo: il femminismo vuole davvero cambiare il sistema creandone uno in cui siano le donne ad avere desiderio di politica rappresentativa; poi c’è il femminismo di stato (o femminismo liberale), cioè come la politica-degli-uomini ha assorbito e addomesticato il femminismo limitandosi a colorare le caselle di rosa e a glassare la vicenda. Le parole “libertà”, “parità” o “uguaglianza” hanno significati ben diversi se a parlarne è Olympe de Gouges o Napoleone.

Grazie Silvia, sempre chiara ed esaustiva.

Aggiungo:

Dall'altra parte c’è invece il femminismo autonomo che mette al centro della discussione non il concetto di parità ma quello di differenza: non negando la parità dei diritti, sostiene che solo attraverso l’irruzione delle differenze si possa raggiungere una vera uguaglianza. L’autrice-giornalista femminista più citata quando si parla di quote è Ida Dominijanni che si è inventata l’espressione "pattume paritario" che è, dice, una trappola, una sorta di annessione, di cooptazione, di colonizzazione vera e propria, per cui le donne verrebbero ammesse in un mondo in cui vigono le regole maschili, uno spazio pubblico neutro volto inevitabilmente ad annullare la differenza politica femminile.

Ma una forzatura, come quella delle quote, nell'ambito delle assemblee politiche decisionali e rappresentative non può aiutare almeno nella fase di transizione a legiferare per aiutare le donne. Se non c'è una iniziale forzatura, leggi e norme che riportino pari diritti come si ottengono?

Sul punto: io non sono d’accordo, per i motivi di cui sopra. Però il mio posizionamento è esterno alla politica istituzionale, e nei movimenti. Proprio perché penso che sia dal marciapiede che si debba cominciare, sempre. E che l’istituzione la si debba occupare per reale desiderio è libera scelta.

Lavoro lungo, difficile, ma l’unico che secondo me può essere efficace.

Condivido sul fatto che sia il metodo "più puro", ma sicuramente molto molto più lungo. Ma la strada è quella Giulia, non sarà la tua, la nostra generazione, ma ci si arriverà.